La lunga sosta diluisce le ansie agonistiche e invita alla
riflessione che porta ai primi bilanci. Una stagione iniziata male, proseguita
meglio, che può essere conclusa con un risultato importante per premiare
l’impegno di una dirigenza impagabile sotto tutti i punti di vista. Purtroppo, la serie D chiede molto ma restituisce poco,
troppo poco. Vince una sola squadra e spesso questa è una nobile decaduta che
fa corsa a sè ( Parma,Monza, Piacenza, Mestre), poi il deserto. Deserto di pubblico,
deserto di ambizioni, deserto di strutture. Lo scorso anno, nell’altro girone,
vinse il Bellinzago che preferì sparire dal calcio piuttosto che accettare la
Lega Pro. Venne chiesto alla Caronnese di salire nella categoria superiore, ma
anche da qui arrivò il “no grazie”. Quasi fosse una disgrazia la possibilità di salire di categoria. Clamoroso, direbbe Piccinini. Questo è un campionato dilettantistico con presenza di
professionisti retrocessi, ma l’equazione professionismo uguale promozione non
è scontata e il rischio di rimanere all’inferno per molto tempo è alto. Spesso, vince chi non è interessato alla vittoria, perde chi
lo è. Il nostro girone è deprimente quanto a qualità media, è invece esaltante(più
o meno) quanto a qualità massima, anche se cncentrata in sole cinque squadre,
di cui una sopra la media. Il resto non conta, o quasi. Chiaro che pretendere
seguito da parte del pubblico/sponsor diventa un’impresa. In più, la qualità media del gioco risente pesantemente dell’obbligo
di schierare i giovanissimi. Apprezzabile l’obiettivo di dare una vetrina a
questi ragazzi, ma la conseguenza è sotto gli occhi di tutti. Spesso portiere e difensori sono under e non si può dire che
lo spettacolo ne benefici. Muoversi da casa per match con il Dro, lo Scanzorosciate o
il Levico (con massimo rispetto per queste squadre) non è molto stimolante,
soprattutto se fa freddo. A questi incontri, non propriamente premium in
termini di appeal, si somma un livello di gioco imbarazzante, che non aiuta a rilanciare
questa categoria. Una categoria ibrida, composta per il 25% da profili ex C2 e
per il 75% da profili serie D pura. Di questo 25 % la metà, anche in caso di ripescaggio, non
avrebbe le strutture regolamentari per la serie superiore. Per esempio,
Ciliverghe Mazzano e Virtus Bergamo in caso di ripescaggio potrebbero avere
problemi di stadio, se quanto affermato dal direttore sportivo della Pro Patria
fosse confermato. Ossia, che non è dato modo di giocare in strutture sportive
presenti in città confinanti. Per cui, niente Montichiari per Ciliverghe.
Quindi? Quindi, qualcosa non quadra. La soluzione sarebbe
paradossale, ma vista la realtà diventa persino valutabile. Se in Lega Pro ci
si preoccupa all'atto dell’iscrizione di garantire la capacità di portare a
termine il campionato con pagamenti regolari dei tesserati, la serie D dovrebbe
preoccuparsi della potenzialità delle società in caso di vittoria finale. E’
una provocazione, ovviamente, ma Castiglione, Caronnese e Bellinzago
giustificano il ragionamento. Da rivedere è senza dubbio alcuno la formula del campionato.
Trovarsi a fine del girone di andata con i giochi virtualmente chiusi per la
promozione e con unico obiettivo motivante i play off .del tutto inutili, o
quasi, per il salto di categoria, non aiuta a creare interesse intorno alla
prima serie dilettantistica. Le “grandi” si mettono in coda per vincere il campionato
visto che solo una sale in Lega Pro. Di anno in anno si è costretti a
incrementare il budget se si vogliono avere speranze concrete, sperando di non
incappare nel Parma o nel Piacenza di turno che renderebbe vano anche un forte
investimento. Insomma, il purgatorio della serie D rischia di diventare un
inferno senza fine, anche per chi avrebbe quel che serve per stare in Paradiso.
Paradiso perso per peccati gravi non certamente attribuibili all’attuale
dirigenza che ne paga e ne pagherà solo le colpe. Ma, come sempre, le colpe dei
padri ricadono sui figli.
Flavio Vergani
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