Si spera nel Lecco, dopo aver sperato nel Darfo, nella
Bustese e nella Pergolettese.
Bisogna e bisognava sperare anche nella Pro
Patria.
Caravaggio, Pergolettese, Ciserano e Trento sono state le
risposte deboli alle imprese di chi ha fermato il Rezzato. Levico deve essere
una risposta secca.
L’Everest è alto per tutti 8848 metri, per tutti c’è l’aria
rarefatta che toglie il respiro, per tutti ci sono salite impressionanti e crepacci
da paura.
C’è chi, come Messner, ha qualità congenite tali da non
soffrire nulla di tutto ciò e sale spedito in vetta, ci sono altri che si aiutano
con le bombole di ossigeno per vincere l’aria rarefatta, c’è chi si fa aiutare
dagli sherpa per portare il carico, c’è chi rinuncia all’impresa, c’è chi cade
e si rialza, c’è chi cade e muore.
Per tutti c’è la stessa difficoltà, vince chi le sa superare.
La Pro Patria non è il Messner della categoria, tutti lo
hanno sperato, ma sulle ultime salite il respiro si è fatto affannoso.
Tutto serviva e tutto serve per salire in cima. Prima qualche sherpa, ora qualche bombola d’ossigeno. Sicuramente non serve il
fatalismo giustificante che, in nome delle “difficoltà”, fa sembrare impossibile
quello che è sempre stato possibile.Ossia,
che questa squadra possa arrivare in cima.
Che prima della vetta ci fosse la salita più dura era
noto da sempre.
Nessun Messner è stato incontrato sulla via della vetta,
ma solo un ottimo alpinista bresciano che, quando si è accorto di non riuscire a
tenere il passo degli apripista, ha cambiato il suo versante di salita,
scegliendone uno che più si conformava con le proprie caratteristiche.
Ha cambiato
capo cordata e ha ingaggiato qualche sherpa in più per portare il carico .
La Pro Patria ha scelto di proseguire dritta verso la
cima, convinta che non le mancasse nulla per mettere la bandiera sull’Everest.
Questa convinzione non può e non deve venire meno proprio
a pochi passi dalla vetta. Certamente si è ripetutamente scivolati negli ultimi
periodi e fortunatamente così ha fatto l’altro alpinista, ma adesso il campo
base è lontano. Non si possono più chiedere aiuti di nessun tipo, serve
camminare con lo sguardo verso l’alto.
Serve crederci, anche se l’aria è pesante e la salita
dura. Certamente qualcuno lassù arriverà e chi arriverà avrà dimostrato che le
difficoltà erano superabili.
Vince uno solo e festeggia, gli altri recriminano, ma trattasi
di sterili giustificazioni.
Questo gruppo di scalatori e il suo capo cordata sono di
valore e hanno l’obbligo di arrivare in alto. Non importa se un secondo prima o
dopo gli avversari. L’obbligo è di dimostrare sull’ultima salita la capacità di
arrivare in cima. Magari un secondo dopo, ma non dieci minuti dopo.
Levico, Ciliverghe e Darfo Boario sono partite da vincere
a prescindere dal risultato degli altri.
Poi, forse mancherà un punto per piantare la bandiera
biancoblù, ma almeno si sarà dimostrato di valere l’avversario. Cadere nel
crepaccio dell’oblio a pochi metri della cima e congelare il sogno di sempre
tra l’oscurità degli abissi non è un finale di scalata che meritano tutti
quelli che hanno tifato da sempre per voi.
Flavio Vergani
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