
Le cause? Inutile cercare il difficile. E’ tutto più
semplice di quanto sembri. La squadra fatica a segnare e per farlo impiega
montagne di energie. Troppe. Si deve scalare il Monte Bianco, ma sembra si
debba salire sull’Everest. Levico, Dro, Caravaggio, Ciserano, Trento, sono
partite fotocopie nelle quali non si sono portati a casa punti pesanti. A
questo si aggiunga la scarsa performance con le prime della classe e il
bilancio va in rosso profondo. Se fatichi con le squadre di seconda fascia e non vinci con
quelle di prima, diventa difficile avere sogni di gloria.
Motivi? Si, certo, si poteva pensare ad una punta nel
mercato di gennaio, anche e soprattutto per rispondere al mercato del Rezzato
che, quando ha capito di avere problemi, ha cambiato rotta in panchina e in
campo.
Si potrebbe pensare ad una squadra diversamente impostata con qualche concessione alla fase offensiva, come molti tifosi invocano da tempo. Si potrebbe valutare qualche cambio per giocatori che sembrano le brutte copie di sè stessi.
Ma, dalle parole di mister Javorcic emerge che il problema potrebbe essere non solo
tattico.
La squadra è mentalmente scarica, non è brillante, non riesce ad
automotivarsi, nonostante la posta in gioco sia di assoluta importanza.
Se l’avversario è di media
caratura (Pergolettese)lo subisce, se inferiore (Trento)non riesce a batterlo,
neppure con doppia superiorità numerica.
Certamente, non un profilo di squadra vincente, di personalità,
nonostante le dichiarazioni raccolte in settimana siano sempre improntate all’ottimismo più sfrenato ( "noi le vinciamo tutti, gli altri vedremo...)"
Riccardo Colombo, nel dopo partita di ieri, assicurava che a livello
fisico i tigrotti sono “di categoria superiore” e che non vivono tensioni
particolari tali da influire sulla prestazione. Alla domanda di identificare i motivi della debacle ha risposto: “Non
saprei cosa dire…”
Mister Javorcic assicura che non si tratta di un problema
tattico, Turotti si risente quando l’allenatore ospite fa notare alcune
debolezze riscontrate a livello tattico, ma alla fine nessuno individua e
risolve il problema lasciando agli avversari punti preziosi.
L’impressione è che si stia regalando un campionato quando
si potrebbe averlo già vinto da tempo.
In poche parole, non c’è la consapevolezza del vero problema
da combattere e questo è ancor peggio che conoscere la diagnosi per poterla
curare.
Il calcio è imprevedibile, questo si, può capitare di non
vincere una partita con una squadra più debole sulla carta, ma devono essere
casi isolati e non un trend preciso. In questo caso non si tratta di una
fatalità, ma di una debolezza che si ripresenta ciclicamente.
Ieri, a Trento, non si è trattato di un punto di flesso in
una stagione di picchi, ma dell’ennesimo flesso di una curva altalenante che
vede troppi punti negativi con squadre di vertice e troppi flessi con squadre
di seconda fascia.
Se poi si gode della doppia superiorità numerica e il goal non arriva, non si tratta solo del “calcio”, ma, probabilmente, di una
mancanza insita e congenita di un gruppo di giocatori bravi tecnicamente, ma
che ancora non hanno dimostrato di essere dotati delle unghie dei tigrotti (tanto
per dirla in modo elegante).
Squadra orfana di un leader con la L maiuscola in grado di
scuotere chi,probabilmente, è prigioniero del sogno tanto da vivere un incubo.
E, forse, di un ambiente, inteso nel suo complesso, eccessivamente protettivo, rassicurante
e comprensivo, tanto da non creare pressioni positive e stimoli adeguati ai giocatori.
Una percezione di fatalismo strisciante che si avverte dallo spogliatoio spesso, a nostro avviso, troppo giustificato e complimentato anche di fronte a prestazioni non impeccabili.
Questi giocatori sono stati scelti per vincere il campionato, non per ben figurare. Per cui, paure, tensioni, debolezze caratteriali non sono ammesse. Busto è piazza esigente per giocatori eccellenti, non è ammesso perdere un campionato per paura della propria ombra.
I tifosi che ieri si sono messi in viaggio per Trento (ma
anche gli altri)meritano ben altro che queste prestazioni incolori,senza nerbo e convinzione.
Nessuno pretende la vittoria sempre e comunque, ma la
dimostrazione tangibile che tutti credono nel sogno e tutti lo pensano
possibile. Non a parole, ma con i fatti. Fatti che non si sono visti con la
Pergolettese e con il Trento, ma neppure con il Caravaggio.
La domanda sorge spontanea: ma voi ci credete veramente come
i tifosi? E, in caso di risposta positiva, perché non lo dimostrate in campo?
Stanchi fisicamente e mentalmente? Attenzione nella risposta, consigliamo di valutare bene a
chi vi state rivolgendo. Spesso, trattasi di persone che si alzano alle cinque del mattino
per lavorare, ma alla domenica si alzano lo stesso prestissimo per seguirvi ovunque. Senza stanchezze o debolezze. Non si è mai stanchi per la Pro Patria.
Qualcuno obietterà che non è la stessa cosa, si, invece lo è. Questi tifosi e questa società meritano rispetto, massimo rispetto. Le ultime tre partite, comunque vadano, devono essere un modo per dimostrare quanto ci tenete a queste persone e a questa maglia. A fatti, non a parole.
Per cui, è il
momento di spazzare via paure, tensioni e stanchezza per dimostrare in campo quello
che valete.
Le parole stanno a zero!
Flavio Vergani
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