Squadra a centro classifica. Società economicamente
virtuosa. Che noia che barba…che barba che noia!
Come passare la settimana? La parola d’ordine è non farsi
scappare nessuna occasione, nemmeno la più piccola.
Come il Fabio Gallazzi che non lascia nel bosco nemmeno
un porcino microscopico. Tutto fa brodo, o meglio tutto fa risotto.
Ieri giornatone indimenticabile. La mattinata è scossa
dalla notizia bomba: Pllumbaj lascia la Pro Patria.
Clamoroso, direbbe Piccinini. E il social si scatena. C’è
chi sta con il partito dei “Raimondo” e chi con quello di “Sandra”.
Tema della litigata anti noia è il seguente: ci siamo
liberati di un peso, oppure era meglio vederlo all’opera prima di lasciarlo
andare via?
Premessa: ci sono giocatori che piacciono a tutti perché sono
bravi e questi non dividono mai. Poi, ci sono quelli che piacciono a qualcuno e
ad altri no e, infine, ci sono quelli dei quali ti innamori e non sai neppure
tu il perché. Non perché sono bravissimi, non perché sono simpatici, non perché
sono diversi. Non sai nemmeno tu il perché. Infatuazioni temporanee che si
dissolvono dopo poco tempo. Lo scrivente ricorda una sua infatuazione per Santic
della quale ancora si chiede i motivi senza trovarne uno valido. Piaceva,
punto. Poi la carriera che ha fatto ha confermato che piaceva solo a me, o
quasi.
Ci sono poi i fattori esterni che a volte influiscono sul
giudizio generale: amicizie personali, vicinanze di vedute, feeling personale. Variabili,
ma non costanti. Nel mio caso Santic nemmeno lo conoscevo.
A volte succede e basta.
Nel caso di Pllumbaj si può far parlare il cuore o i
numeri. Il linguaggio del cuore è diverso per ciascuno di noi, i numeri sono
uguali per tutti.
Dicono di lui che a 29 anni ha sempre giocato in serie D. Segnando molte reti, ma sempre in serie D. E,
ora, andrà in serie D. Questo per dire che: o nessun direttore sportivo si era finora
accorto di lui, tanto da lasciare sempre il bomber tra i dilettanti, oppure un
altro motivo ci sarà a giustificare la sua mancata frequentazione di
palcoscenici più importanti. Questo non lo dico io o mio “cuggino”, lo dicono i
numeri.
Punto due: quale allenatore che si trova ad avere in
squadra un attaccante forte che potrebbe portare goal e punti non lo fa giocare?
Nessuno. Questo per dire che non crediamo all’autolesionismo, ma solo ad un
sano realismo. Questo lo dice la realtà e non la fantasia.
Su questo crediamo siano d’accordo tutti.
Quindi dove sta
il problema che ha scatenato il social? Presto detto : la curiosità di vederlo
all’opera. Curiosità che non è stata soddisfatta secondo l”accusa”.
Che dire, come ha scritto qualcuno, se questo è il problema della Pro Patria
siamo messi davvero bene. Confermiamo: :si, è questo il problema della Pro Patria e quindi siamo
messi molto bene, anzi benissimo.
Chi scrive da che parte sta? Da un’altra. Avevamo chiesto
poco tempo fa a mister Javorcic a che punto fosse il processo di inserimento di
Pllumbaj e ci venne detto che stava migliorando e che sarebbe potuto diventare
un’alternativa a quelle presenti in rosa per le sue diverse caratteristiche.
Perderlo proprio quando il processo era ad un passo dalla maturazione spiace un
po’. Risposta scontata e persino così banale che non piace nemmeno a chi la
scrive. Troppo ricca di “istamina”.
Detto tra noi, non è che crediamo sempre al 100 % a
quello che ci viene detto. Siamo vecchi del mestiere e sappiamo che a volte la
comunicazione perfetta è quella che a volte dice e non dice, a volte è diretta
e a volte indiretta, a volte serve per demolire a volte per costruire, a volte
per motivare altre per far riflettere.
Insomma, angoli smussati e angoli vivi. La
realtà percepita è stata che la maturazione è stata così lenta che il frutto
stava andando fuori stagione. Lo stesso Pllumbaj, da ragazzo intelligente quale è, lo ha
capito tanto da dichiararlo: “ a trent’anni non posso permettermi di stare in
panchina”. Giusto, se sei una mela è inutile marcire in una cassetta di arance.
Che poi non è stata data la possibilità di dimostrare di essere un’arancia è
vero, ma forse al fruttivendolo basta sentire l’odore per capire il tipo di
frutto che ha in mano.
Mister Javorcic non è certamente mister Favarin, conosce
le sfumature del linguaggio, è elegante nell’eloquio, sa colorare i quadri in
bianco e nero. L’impressione che si è sempre avuta sul caso Pllumbaj è che si
sfumasse il quadro con colori pastello per non farlo apparire troppo grigio. Una
scelta rispettosa verso il ragazzo e verso la stessa scelta che comunque è
stata fatta e lo aveva premiato con le attenzione della dirigenza tigrotta.
Favarin, tanto per fare un nome, probabilmente avrebbe
usato il cutter più che il pennello e forse sarebbe stato più chiaro a tutti nella comunicazione facendo intuire l’epilogo
della vicenda.
In mancanza di linguaggi espliciti, a volte basta
ascoltare al posto di sentire per capire quello che l'interlocutore sta dicendo senza volerlo/poterlo dire.
Flavio Vergani
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