
E’ un quadro in bianco e nero, un ritmo lento, una poesia
senza rima.
Come per tutte le cose sciape ci sono i coraggiosi che
tentano di darle un’identità, un senso, un valore per sdoganarle dal girone del
purgatorio.
Quando si materializzano in giornate già grigie da sé producono
un effetto eco che amplifica la depressione, già insista nelle pieghe della
domenica sera.
Un tentativo apprezzabile, seppur confinato nel risultato
che spesso appare solo come un farmaco palliativo.
La razionalità spesso sa attribuirgli il suo reale valore,
che in alcuni casi è vero e concreto, ma l’istinto lo boccia inesorabilmente archiviandolo
nel cassetto delle cose inutili.
E’ un bicchiere sempre mezzo vuoto che per taluni intrecci
del destino e del fato può assumere una predestinata importanza.
Non ha un nome, ma solo un cognome, che piace poco a tutti.
E’ uno e trino, a volte ha il sapore della salvezza, a volte
dell’inferno, le rare volte che non odora di purgatorio.
A Busto si è autoinvitato per quattro domeniche di fila
senza neppure chiedere l’accredito, dopo che nelle precedenti dieci precedenti
non si era visto nemmeno in fotografia, senza che nessuno ne sentisse la
mancanza.
Ci si ricorda di lui solo in occasione dei bilanci di fine
anno quando per alcuni ha fatto la differenza, per altri la sofferenza.
Vale sempre un punto: amato a Busto perché con quel punto si
è aperta la porta del paradiso, odiato a Rezzato dove con lo stesso punto si è
aperta la porta dell’inferno.
Il pareggio è un’opportunità, ma allo stesso tempo è un problema.
E’ quell’uno che manca per far cento e allo stesso tempo la goccia che fa
traboccare il vaso.
E’ il grigio che sta tra il bianco e il nero, tra la soddisfazione
e l’insoddisfazione.
E’ bello come quello di Arezzo, seppur alonato di rimpianti,
è gradito come quello con il Gozzano, seppur conseguenza di troppi mea culpa, è
leggendario come quello di Trento dello scorso anno, seppur solo la
stagionatura gli diede un valore doc.
E’ benedetto come quello tra Rezzato e Lecco, benedetto per
noi, maledetto per loro.
Alla fine, non sembra essere così antipatico, eppure lo
sopportano in pochi.
Forse solo perché ne servono tre per avere lo stesso fascino
della sorella Vittoria.
Serve una rima per dargli una dignità, proviamo con "pareggio
meglio così che peggio".
Flavio Vergani
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