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Il campionato è terminato. Il Covid 19 ha tirato giù il sipario sulla stagione 2019/2020 e, presumibilmente, sul calcio di serie C, come finora inteso.

Il tentativo reiterato dei vertici federali di scimmiottare il calcio che conta è miseramente fallito ed è tempo di pensare ad un futuro basato più sulla realtà che sulla fantasia.

I gironi verticali per assomigliare alla serie B e alla serie A, le maglie con il nome, gli stadi con i seggiolini, gli stewards con gli annessi e i connessi resi eleganti da inglesismi raccapriccianti, le luci più potenti per riprese televisive,  anzi no, in simil streaming, dove alcuni commentatori litigavano con i nomi dei calciatori e inciampavano sul “gender” della Pro Patria  che spesso diventava “il Pro Patria”, non sono stati sufficienti a patentare il sistema come un modello Premium. Per fortuna, ci viene da dire.

Al contrario, hanno indebitato le già traballanti società di terza serie con una scomparsa a nastro delle stesse, salutata dal palazzo come “selezione naturale” per un calcio sano. Una visione miope, egocentrica e ai limiti con la fantascienza portata avanti per anni, troppi anni, fino al disastro finale.

Ci si è persino inventati una legge (Melandri)per dare un tocco di socialità al movimento e dare al contempo ossigeno alle società con la trovata dell’avviamento allo sport dei giovani che ha dequalificato il livello medio della categoria, con promozione a titolari di giovani che qualche decennio fa avrebbero fatto i raccattapalle in serie D.

Altro, e per fortuna ultimo tentativo della farsa, è stato quello di qualificare il movimento come “formatore sociale” dei giovani, con sviluppo di progetti last minute comprendenti visite alle scuole o attività di prossimità alla collettività.

Uni modo per vantare diritti al tavolo negoziale e rivendicare una defiscalizzazione derivante da attività di simil onlus. Lasciamo perdere il fatto che il punto due del fantastico progetto prevedeva l’obbligo per le società di costruire impianti sportivi per togliere dalla strada i teppistelli e avviarli allo sport. Pensando che alcune società nemmeno hanno lo stadio dove giocare, viene difficile capire come possano costruire un centro sportivo.

Tanta energia concentrata sul modello da sviluppare che ha però perso di vista i veri protagonisti da sempre di questo calcio: i tifosi.

Costretti ad acrobazie per acquistare un biglietto, a pagare extra costi di prevendita per assistere a partite in stadi semivuoti, o, al contrario, esauriti dopo l’ingresso di un paio di centinaia di persone (storia vera accaduta in quel di Gozzano), spesso in orari semplicemente ridicoli e in giorni feriali, molti di loro hanno gettato la spugna.

Così, mentre si rincorrevano i nuovi tifosi con deboli attività di recruiting, si perdeva la zoccolo duro della tifoseria più fedele,  portata allo stremo da ossessive richieste di adattamento ad un modo di vivere il calcio non accettabile.

Insistere nel voler definire professioniste società che chiudono regolarmente i bilanci in perdita è esempio di cocciutaggine cronica. Pensare che società senza sponsor o quasi, senza copertura televisiva seria, senza un bacino di utenza ricco che possa interessare una potenziale investitore, possano svilupparsi nel tempo con una crescita organica e sana è semplicemente ridicolo.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Chi dispone di quanto sopra citato (poche), frequenta la categoria giusto il tempo necessario per essere promosso in B, chi non ha niente di tutto ciò, o quasi, ma un presidente eroe che copre i buchi con impagabile generosità, sopravvive nella parte bassa della classifica senza nemmeno immaginare il salto di categoria, tutti gli altri hanno il duplice pensiero di salvarsi sul campo prima e a livello economico dopo.

Questa sarebbe una categoria professionistica? Quale sarebbe il professionismo? Qualcuno in settimana ha parlato di possibile la trasformazione delle società di serie C in semiprofessionistiche, senza possibilità di lucro. Chissà quanti presidenti avranno pensato al suicidio per il rischio di perdere questo lucro.

Evidentemente c’è ancora qualcuno che si convince e pensa di convincere che questo calcio sia sostenibile come quello di categorie superiori.

Serve un passo indietro, o forse due. Questo è il calcio della passione, tenuto in piedi dai tifosi.

Da quelli anziani rimasti e dai pochi giovani che hanno ereditato questa passione. La legge Melandri dovrebbe incentivare i giovani tifosi, di giovani giocatori ce ne sono a bizzeffe. Al limite, l’obbligo, potrebbe essere di schierare quelli del proprio vivaio, non quelli degli altri. Un modo per centrare anche il secondo obiettivo dell’impatto sociale del calcio sui giovani.

Le defiscalizzazioni dovrebbero agire per permettere alle società di praticare prezzi popolari per far tornare i tifosi allo stadio e non per farli rimanere di fronte ad uno schermo del computer spesso in clessidra.

Insistere nel non far entrare allo stadio la stampella del signore ottantenne appena operato al femore, o il piccolo cane del tifoso storico, o la bomboletta dell’ossigeno del Giulio Stagni, alla fine comporta che allo stadio non verranno più i proprietari della stampella, del cane e della bombola dell’ossigeno.

Di conseguenza i seggiolini nuovi, pur belli che siano, rimarrebbero vuoti.

Non serve aver frequentato la Bocconi per capirlo.

Purtroppo, il campionato è finito a febbraio, ma, per fortuna, ci sarà molto tempo per discutere sul futuro.

Una parte di questo tempo è stato sprecato per decidere quello che il buonsenso avrebbe già deciso ( Monza, Vicenza e Reggina in B e stop), ma qualcuno gareggia con Borrelli cercando di dare un ‘interpretazione ai dati che fa rabbrividire : una magia, che farebbe l’invidia di Silvan, porterebbe il Carpi in serie B.

Ingoiata l’ultima perla di saggezza di questa serie C, si spera che il futuro possa restituire il nostro calcio.

Inutile descriverlo, perché chi frequenta la serie C lo sa riconoscere. Al limite, andrebbe spiegato quello attuale.

Chi frequenta questo calcio ha la passione e la competenza di un tifoso professionista, ma un animo da dilettante, inteso nel senso pregevole del termine e nessuno di loro vuol diventare diverso da quello che è sempre stato.

 Iniziamo a regalargli il calcio giocato di domenica alle 14,30, questo sarebbe già un buon inizio.

Flavio Vergani

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