L’ultimo atto di una categoria calcistica che deve urgentemente essere riformata per evitare di cadere nel ridicolo. Qual è la differenza tra una professione e un hobby? Semplice: la professione deve produrre un utile all’imprenditore, l’ hobby procura solo costi.
Da qui la differenza tra professionismo e dilettantismo.
Un’azienda professionista produce un prodotto che dovrà essere venduto per portare un utile.
I playoff, prodotto di punta di una squadra professionistica di serie C, dovrebbe essere venduto in un supermercato chiuso (gli stadi).
Per produrre questo prodotto l’azienda è chiamata ad un
investimento economico di parecchie migliaia di euro. Il “Roi” ( return on
investment) sarebbe pari a zero.
Un’azienda professionista si circonda dei migliori manager presenti sul mercato per centrare gli obiettivi di business, ossia per essere competitiva sul mercato
e avere margini operativi importanti.
Nel calcio di serie C la “conditio sine qua non” per poter
sopravvivere, ossia per limitare le perdite, è di assumere obbligatoriamente il
maggior numero di giovani calciatori per poter avere un contributo indispensabile per centrare l’obiettivo di sopravvivenza.
Il parallelismo con le aziende porterebbe ad assumere
obbligatoriamente dei manager giovani per poter avere un contribuito di sopravvivenza. Un no sense!
Ossia, un professionismo assistito, una specie di reddito di cittadinanza aziendale, che
nulla ha a che vedere con la moderna concezione di imprenditorialità.
Questo sarebbe sinonimo di professionismo?
In sintesi, accostare al professionismo realtà che faticano
a chiudere un bilancio in parità, non per colpe proprie di cattiva gestione
finanziaria, ma per la struttura organizzativa ove sono chiamate ad operare, è
esercizio impossibile.
Se un’azienda produce un prodotto che interessa a pochi consumatori
finali, che non interessa agli sponsor, che non ha visibilità sui canali media,
è destinata ad avere un profilo artigianale per proporsi a livello locale.
Una dimensione che le permette di avere un rapporto
costo-beneficio positivo.
Illudersi di proporla in uno scenario competitivo di mass
market, equivale a violentare la natura dell’azienda, modificandole il dna e
destinandola alla scomparsa.
La possibilità data alle squadre di serie C di partecipare
volontariamente ai playoff è stato il modo perfetto per dichiarare
pubblicamente il fallimento del progetto serie C.
In pratica, molte squadre non parteciperanno a quello che è
stato l’obiettivo di tutte da inizio anno.
Come se una azienda decidesse di disertare la fiera più
importante del settore.
Ovvio, che chi è costretto a dire no, lo fa perché non ha la
struttura organizzativa e finanziaria proporzionata all’impegno che viene
chiesto di sostenere. E, quindi, non fa parte di quel mondo.
Da chiedersi se siano le società rinuncianti ad essere fuori
da quel mondo, o se sia il mondo a non essere ospitale tanto da essere costretto
ad una esagerata selezione naturale.
E’ triste vedere società quali Modena, Arezzo e Piacenza,
rinunciare ai playoff, ma è anche triste sapere che questo avviene con
il totale assenso dei tifosi che comprendono e condividono totalmente i motivi
di tale scelta. Un buonsenso diffuso che cozza con la totale mancanza in altre sedi decisionali.
Chiaro che non si è di fronte ad una scelta, ma a un obbligo
per talune realtà chiamate ad essere più professioniste di quello che pensavano
di essere.
La stessa volontarietà di partecipazione, senza nessun tipo
di conseguenza per le società non partecipanti, testimonia la consapevolezza
degli organi federali a riguardo del fatto che si sta chiedendo ad una Fiat 500
di partecipare al Gran Premio di Monza.
O meglio, di Bari, visto che a Monza il gran premio lo hanno
già vinto meritatamente.
Flavio Vergani
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