La prima categoria che ha indetto uno sciopero nel post lockdown è stata quella dei calciatori di serie C, che minacciano di non scendere in campo domenica prossima.
I motivi?
Uno con un senso e uno senza senso, a nostro parere: la
regola degli giocatori under che portano quattrini alle società e la regola
delle rose non più numerose di 22 giocatori.
La regola degli under
profittevoli per le società che li schierano porta inevitabilmente ad una competizione
interna sbilanciata a favore dei giovani, che a fronte di carenze tecnica e minor
performance hanno la magia di portare soldi in cassa.
Questo, ovviamente, toglie spazio ai non under di qualità
medio bassa ( più bassa che media), con conseguente incremento del loro tasso
di disoccupazione.
La seconda è relativa al contingentamento numerico delle
rose di serie C fissato a 22 giocatori con identica influenza sulla possibilità
di trovare un ingaggio da parte di senior o pippe croniche.
Contestare la regola dei giovani ha un senso, attenzione non
stiamo dicendo che sia giusto contestarla, ma solo che potrebbe esserlo, vista
l’incidenza che ha in termini di scelte tecniche. Per onestà di analisi c’è anche
da dire che senza i giovani non è scontato che ci siano più posti per i meno
giovani, perché molte società senza il contributo della legge Melandri
potrebbero scomparire, con conseguente aumento della disoccupazione. Per cui
giusta sulla carte, discutibile nella realtà.
Il secondo punto appare invece pretestuoso; 22 giocatori sono
due squadre di calcio, bastano e avanzano per partecipare al campionato di serie C e, male
che vada, ci sono i ragazzi delle giovanili.
E’ finito il tempo nel quale viene permesso di essere “calciatori
ad ogni costo”. Se per età, qualità e disponibilità a retribuzioni al minimo
salariale, non si è più in grado di essere selezionati tra i 22 di una squadra,
occorre farsene una ragione e trovarsi un altro lavoro.
Indubbiamente, esercitare la professione di calciatore è
gratificante e persino divertente, impegna relativamente quanto a tempo, coniuga la professione con l’ hobby e, in talune occasioni, diventa molto
remunerativo. La conditio sine qua non è di vincere la concorrenza durante la
fase di ingaggio.
Illudersi di trovare comunque un posto a prescindere da
questi requisiti e di poter sfuggire alle normali regole del mercato del lavoro
è pleonastico, fuori luogo e soprattutto fuori tempo.
Le società non sono erogatrici di reddito di cittadinanza
occulto e nemmeno parcheggi per ex
stelle del calcio. Tanto meno per giovani calciatori rivelatesi non all'altezza
del professionismo. Esistono innumerevoli categorie dilettantistiche ove
trovare una sistemazione, non lo ha ordinato il dottore di fare il calciatore a tutti i costi.
A tutti piacerebbe poter fare la vita da calciatori, ma a
pochi ( sempre meno) è concesso.
Occorre farsene una ragione. Ogni azienda ha un tetto
massimo di dipendenti in organigramma per poter limitare i costi fissi sul
conto economico, ovvio che si scelga i migliori senza obblighi di poter
soddisfare le centinaia di curriculum che giungono alle Risorse Umane. Questo è il mondo reale, i calciatori fino a poco tempo fa vivevano in mondo ideale, ma la festa è finita e difficilmente riceveranno un altro invito per un prossimo party.
Scioperare per cambiare questa realtà,
a nostro avviso, equivale a metterne in discussione la futura esistenza con il rischio per il calciatore di serie C di dover sperare di trovare un posto non nella Pro Patria, ma nel Monza o nel
Genoa o nella Juventus.
Lì hanno rose molto più numerose, tentar non nuoce.
In bocca al lupo!.
Flavio Vergani
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