Si è rischiato l’aborto, ma per fortuna è stato solo un parto prematuro e i figli della Pro Patria sono ancora vivi. Un parto complicato, dopo una gravidanza ricca di nausee per un’inseminazione artificiale con un Dna estraneo al futuro nascituro.
Un Dna fin da subito rigettato , bandendo la parola “passato” dalla comunicazione del progetto, termine
vissuto quasi come una provocazione, un fastidio, un’inutile competizione con
un passato, che si era convinti di soffocare solo bandendone la citazione.
Ci si preoccupava di convincere gli altri, ma forse senza convincere sé stessi, che quel tempo era finito sul campo, sepolto nella memoria, archiviato nella mente dei protagonisti.
Sbagliato! Ci si stava confondendo, il passato stava terminando solo fuori dal campo e nessuno, tranne una, lo sapeva.
Chiedere ad un gruppo rimasto praticamente lo stesso negli attori principali, visto che solo i giovani se ne sono andati e il vecchio si è seduto in panchina, di dimenticare, di ripartire, di rifondare loro stessi è stato un errore strategico che ha destabilizzato antiche certezze. Non per scelta, ma per conseguenza spontanea, per istinto umano che fatica a dimenticare quel che ha generato felicità, mentre dimentica quel che ha prodotto sofferenza.
Tentare di generare un progetto gemello omozigote è sfida impossibile,
pensare di farlo con seme eterozigota una follia.
A lungo si è sperato che la parola “lavoro” potesse essere la
scorciatoia verso il futuro, ma le parole che la psiche dei più volevano sentire erano altre e mister Sala le ha dette fin dall’inizio: “Chi meglio di noi conosce questo
gruppo, viviamo insieme da quattro anni”.
Un gruppo che istintivamente ha vissuto un rigetto, non ha sopportato il trapianto di un componente, ha messo in moto istintive difese immunitarie. Arti naturali del vecchio corpo si sono rimessi in moto quasi per incanto, trovando antiche certezze, pragmatico protagonismo, concreti risultati, appena si è deciso di rinunciare agli antirigetto, per tornare alla cura del passato, tutta naturale.
Un passato che dopo essere stato negato è stato rispolverato e diventato nuovamente protagonista.
Gli è stata ridata la parola e subito ha gridato che non è vero che quello che si è fatto prima sarebbe stato irripetibile.
Cambia l’obiettivo dell’impresa, ma non il risultato.
Quasi una ribellione istintiva che ha tritato chi aveva tentato
di scrivere una nuova prima pagina di un nuovo libro.
L’errore è stato di non capire che la serie precedente non
era terminata e quegl’attori volevano aggiungere una nuova puntata con un
entusiasmante finale, piuttosto che essere comparse di una nuova avventura con
un nuovo regista che li relegava a comparse.
E’ bastato, o almeno, sembra sia bastato, riavvolgere il
nastro all’indietro e trovare la trama della puntate precedenti per tornare
protagonisti assoluti.
Certamente, qualcuno di loro mancava dalla scena ed è appena
ritornato, ma l’impressione è che il film prima fosse in bianco e nero e ora in
bianco e blu, a prescindere dal nome degli attori.
Ci si era convinti che, con la partenza del padre di questi
figli, si dovesse a tutti i costi cambiare il modo per educarli, in realtà la
vera perdita è stata la madre del progetto il vero problema, ancora irrisolto.
Nessuna colpa al padre di prima, che sarebbe rimasto se solo lo si avesse voluto e nemmeno a quello putativo, che ha fatto quello che poteva e doveva, il calcio non è una scienza esatta, può capitare di sbagliare. I bilanci aziendali, le visure camerali e le due diligence, sono invece utili per evitare di fare la figura delle sprovvedute e cancellare quattro anni magnifici con un solo click. Quattro anni di successi sportivi, ma questi si possono ripetere con relativa facilità, ma anche utili per ricostruire la reputation, dopo che chi c’era prima l’aveva massacrata. Per questa, non è così semplice ed immediata la riconquista.
Si è dato un calcio al passato fuori e dentro il campo, metaforicamente
da un lato, concretamente dall’altro, senza accorgersi che la vera preziosità
del progetto stava nelle persone che rimanevano, non in quelle che arrivavano.
Condividere in riservatezza quello che si può dire solo a
pochi è l’esercizio migliore per far sentire importante i propri collaboratori
in campo e fuori. Non lo si fa con chi non si stima, ma chi è stato compagno di
viaggio di quattro anni indimenticabili, forse un credito lo avranno pure maturato.
Se non loro, chi?
Gli aspetti motivazionali sono l'energia principale di un gruppo che va esaltato con la stima concreta e non solo dichiarata. Questo vale sempre e per tutti, negli spogliatoi e negli uffici direttivi.
Sarebbe bastato ripartire in campo dal passato, evitando di bandirlo fin da
subito con una modalità “tranchant” che ha tagliato il cordone ombelicale dei figli
della Pro Patria con il nuovo padre. Prima ci aveva già pensato la madre, lasciando orfano un progetto.
Figli della Pro Patria rimasti soli senza antiche certezze e
con un presente che parlava una lingua diversa da quella conosciuta.
Bravissimo chi ha pensato di ridargli il dizionario di prima
e permettegli di esprimersi con le loro parole: i risultati.
Aver scelto chi quel passato lo ha vissuto e sudato è stata
una mossa semplice, forse tardiva, ma utile per ridare ai ciascuno ruoli e
responsabilità che si erano perse, diluite in un progetto che di nuovo aveva
solo l’intenzione, nemmeno il nome.
Delicati equilibri psicologici che richiedono sensibilità
interpretativa, ma anche stima e riconoscibilità di chi è chiamato a gestirli. L’essere
uno di loro ha da sempre fatto la differenza.
E, anche questa volta, la sta facendo.
Flavio Vergani
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