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Qualunque genitore che voglia bene al figlio in procinto di sostenere un esame importante della sua vita fa di tutto per garantigli serenità e tranquillità.

Nel caso ci fosse la necessità di comunicare un fatto famigliare grave, che possa incidere sulla sua concentrazione, lo farà appena terminato l'esame. Trattasi di buon senso per evitare che qualsiasi preoccupazione supplementare possa incidere sul suo rendimento.

In casa Pro Patria questa accortezza non si è ritenuta importante alla vigilia del match con il Mantova, decisivo per la salvezza. Un bel comunicato ufficiale ha annunciato che la Pro Patria è in vendita e che, senza un nuovo acquirente, non potrà iscriversi al prossimo campionato.

Quale è la novità? Chi da sempre non sa che il Consorzio Sgai non avrebbe proseguito quello che non ha nemmeno iniziato? Nessuno, ma forse un minimo di attenzione e rispetto sarebbe stato apprezzato.

Mettiamoci per un attimo nei panni di giocatori, Direttore Sportivo e staff che a inizio campionato sono stati chiamati a condividere un progetto che a loro insaputa era già in vendita. Qualcuno di loro è stato legato alla società con un contratto pluriennale, che una volta in più testimoniava la volontà di proseguire collettivamente quanto iniziato anni fa. Improvvisamente per i più ingenui, ma tempestivamente per i più svegli, l'amore per la politica è prevalso su quello per la Pro Patria, consegnando la società nelle mani di Sgai.

Non il massimo per parte dei tifosi, la miglior soluzione secondo la proprietà uscente, che tranquillizzava la piazza con la garanzia del "soddisfatti o rimborsati",  favorita da accordi contrattuali blindanti, che in caso di inosservanza avrebbero riconsegnato la società nelle mani di Patrizia Testa.

Ebbene, è andata esattamente così, tutti insoddisfatti per motivi vari, ma la Pro Patria è ugualmente in mezzo ad una strada.

Le famose garanzie sembrano scadute prima ancora di essere esercitate e le annunciate presenze "in panchina"non sembrano pronte a tornare in campo.

Ai ragazzi che scendono in campo, lasciati desolatamente soli da una dirigenza che ha agito poco, male  e sempre in smart working, si chiede di salvare la Pro Patria sul campo, proprio nella settimana nella quale fuori dal campo si è detto che non si sarà in grado di farlo. In sintesi : voi salvatevi, noi siamo già retrocessi, anzi, garantiamo la sparizione se nessuno rileverà la società.

Tutto questo con invidiabile "nonchalance", propria di chi ha davvero pochi legami affettivi con questa maglia, la sua storia, i suoi colori.

Se nel passato altre dirigenze zoppicanti o con "tesori" andati in riserva prima della fine del viaggio, avevano fatto sapere identica intenzione, ossia di non iscriversi al campionato, lo avevano fatto con debito preavviso, questa volta si sono battuti tutti i record, annunciando ad Aprile quanto si sapeva già da Novembre, ossia dal giorno in cui la tanto decantata e  garantita cessione societaria al gruppo Sgai, portava in carcere il suo Presidente. Da quel giorno si è inseguito il tempo senza mai afferrarlo, prima in attesa del 31 Gennaio, quando in caso di mancato definitivo "closing", la società sarebbe tornata nella mani di Patrizia Testa ( con la certezza dei più che questo sarebbe avvenuto), poi in attesa di conoscere il significato di lunghi silenzi che sembravano dovessero partorire la montagna e  che invece non produssero nemmeno un topolino, per poi conoscere ad Aprile la notiziona del giorno: "noi ci fermiamo qui, Patrizia Testa avrebbe potuto, ma non ha voluto".

Visto lato tifosi tutto questo lascia sbigottiti, increduli, sorpresi nonostante l'abitudine consolidata negli anni a vicende societarie bizzarre e creative. Questa, ha superato di gran lunga tutte le altre, entrando di diritto nel museo della Pro Patria " sezione chi l'avrebbe mai detto".

Vista lato giocatori e staff la dimensione cambia, perchè dietro la maglia ci stanno le persone, le loro famiglie, le loro aspettative, le loro speranza, ossia la loro vita.

 Professionisti che hanno firmato un contratto con chi era sinonimo di garanzia, sicurezza e affidabilità per poi ritrovarsi senza un interlocutore qualificato, senza una società con un futuro, senza antiche certezze.

A questi professionisti, oggi si chiede di andare in campo e sudare la maglia per una società dalla quale, chi prima e chi dopo, si sono chiamati fuori tutti.

Si chiede di salvare quello che già altri hanno condannato alla sparizione, di fare sul campo quello che non si è stati capaci di fare fuori.

Davvero una bella pretesa!

Intanto, si bussano le porte per trovare un acquirente per la Pro Patria. Quale Pro Patria? Una squadra di che serie? Serie C, serie D o Eccellenza?

Forse, prima di pretendere, bisognerebbe dare, verbo sconosciuto all'attuale proprietà, o riprendere, verbo promesso dalla vecchia.

Invece, si è scelto di comunicare la cessione societaria, che suona come un necrologio, proprio quando la squadra è chiamata a dare un ultimo segno di vita.

Meglio dirlo prima, piuttosto che dopo: se salvezza sarà, sarà solo ed esclusivamente merito dei giocatori, del Direttore e dello staff,  che hanno tenuto a galla una barca i cui comandanti hanno disalberato fin dal primo miglio di navigazione , mentre in caso dovesse andare male, la colpa sarebbe di chi ha lasciato soli i marinai, anche prima dell'ultimo porto.

Sappiamo che i marinai ci sorprenderanno, perchè loro amano il bianco e il blu e mai lo confonderebbero con il celeste partenopeo.

Forza Ragazzi, manca l'ultimo sforzo.

Flavio Vergani

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