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In questi giorni ha fatto scalpore un articolo on-line (che abbiamo riportato anche sul nostro tigrottino), che cita quanti numerosi club sono spariti negli ultimi dieci anni, o hanno rinunciato ad iscriversi al nostro campionato. Un fallimento su tutti i fronti che parte soprattutto dalla struttura della Lega Calcio, che in questi decenni ha aumentato i costi della nostra categoria, facendo così desistere molte squadre da proseguire il cammino tra i professionisti. Ma quanto costa la serie C? è una domanda molto complicata alla quale abbiamo risposto circa due anni fa, andandoci molto vicino. Il resoconto è stato spiazzante; quasi un milione di euro (il calcolo oscilla tra 700.000-900.000) tra fidejussioni, calciomercato, spese varie, iscrizioni, assicurazioni ecc. Con meno di questa cifra sei costretto ad arrancare sia a livello di società, sia a livello di tasso tecnico.  Alcuni siti riportano una corrente di pensiero che vorrebbe il ritorno della serie C2. Il perché? Molto semplice! la vecchia C2 era una sorta di professionismo ad un costo “umano”. Oggi il divario tra serie D e C è pazzesco, sia a livello di gioco (velocità, tatticismo) ma soprattutto a livello di esborsi. Se il primo problema lo risolvi comprando o facendoti prestare giovani giocatori per sopperire a certe lacune dilettantistiche, la seconda problematica non la si può risolvere con prestiti sempre rimborsabili. Ecco che molti club decidono di “mollare il colpo” e continuare l’avventura tra i dilettanti, meno affascinante ma anche meno dispendiosa. La serie C2 sarebbe una medicina giusta per le defezioni societarie che ormai sono all’ordine del giorno? Sarebbe una opportunità in più a costi gestibili per quei club che cercano la strada tra il calcio che conta senza dover “dissanguarsi”. La C2 poi sarebbe un bel “bacino” per quei giovani che non riescono a adattarsi subito al salto tra la D e la C. Ci sarebbero più anni di “apprendistato” e anche più possibilità per gli stessi ragazzini del vivaio di inserirsi nel calcio maggiore con più calma. A 18-19-20 anni magari non sei pronto per la C attuale, ma con un campionato “cuscinetto” molti esordienti tra i professionisti potrebbero imparare e adattarsi piano piano ai vari salti di qualità. Oggi se a 20 anni non sei in B o in A, non sei un fenomeno? Ma chi lo dice? La storia ci insegna che grandi nomi sono arrivati in alto anche a tarda età, (24, 25 26 anni) facendo poi una buona carriera. Oggi invece il salto è troppo ampio e le giovani promesse spesso rimangono tali. Con la serie C2 si potrebbe, con la giusta cautela, far esordire e gestire la carriera anche dei propri tesserati con meno apprensione. Se parliamo poi di prestiti, questi avvengono soprattutto dopo uno o due campionati primavera, che sono estremamente diversi dalla serie C. Spesso certi giocatori, che sono “fenomeni” in queste competizioni, si perdono nei tornei professionali, perché si scontrano con una realtà diversa, dove molti calciatori “senior” insegnano quanto sia dura la realtà calcistica quando si alza l’asticella. La serie C2 insomma sarebbe anche a livello pratico una officina dove riparare a certi errori o dove si potrebbero sistemare le carriere acerbe di neomaggiorenni che salendo subito troppo in alto sarebbero spesso irrimediabilmente bruciati. Molti parlano di “selezione naturale”. “Se hai 20 anni e sei da serie C allora è giusto smettere”. Questo ragionamento non è plausibile, perché si trasmette la convinzione che se un giocare, milita solo in C e ha una certa età, è un perdente. Non sempre la tempistica è uguale per tutti, ed ecco che gli investimenti sui giovani che maturano qualche anno dopo vanno a perdersi. Con la serie C2 (per molti addetti ai lavori), si tornerebbe ad una “cantera” molto più gestibile dove le carriere sono meglio impostate e controllate.  Per i costi poi sarebbe una manna dal cielo visto che non si farebbero più prestiti onerosi con le “grandi” ma si farebbero maturare i propri tesserati. Se la federazione mettesse spese contenute, con poche centinaia di migliaia di euro, si farebbe a gara ad iscriversi a questa categoria. Oggi invece si rinuncia proprio per questi costi troppo elevati.  Con 900 mila euro in serie D è quasi impossibile non vincere il campionato, anche se il calcio non è una scienza perfetta che combina costi con le vincite sicure. Con gli stessi soldi in serie C sei relegato ad un torneo da comparsa. Ecco che con cifre che stanno in mezzo, hai la possibilità di avere il professionismo a giusti costi con una ulteriore possibilità di maturazione sia a livello di giocatori che a livello societario. Una idea sarebbero tre gironi da 15/16 squadre divise per nord centro e sud, con spese di trasferte ridotte, mentre per la C1 a due soli gironi. Nord/centro e centro/sud, dove si “saggia” un vero campionato più impegnativo ma con equilibri calcistici-finanziari più calibrati. Tanti club che oggi fanno fatica a lasciare i dilettanti si ritroverebbero nella loro dimensione naturale, tornando ad “annusare” un calco che inizia ad essere più importante. Visibilità, costi minori e delle giovanili “locali” che appianano i costi di gestione. Acquistare ad esempio la Pro oggi è un rischio per molti compratori che si ritrovano spesso catapultati in un campionato molto caro. Comprare la Pro in serie C2 a costi minori farebbe più gola alle varie cordate, che avrebbero tempo per stabilirsi a Busto, gestire la squadra e con pochi sforzi affrontare un campionato sicuro. Con poche centinaia di migliaia euro in più, si potrebbe puntare in un secondo momento a salire di livello in una categoria migliore che è la vecchia C1, che spesso ci aveva visto protagonisti. Sembra poco? Al giorno d’oggi molti farebbero a gara per la C2, che è una sorta di limbo professionale che ti fa crescere a costi giusti. La serie C odierna invece costa come una piccola B, e la serie B per piazze come Busto non è facile da affrontare, soprattutto senza ritorni economici che in questa categoria sono nulli. Poche decine di migliaia di euro per i diritti TV e poco altro dalla Lega. Comprare la Pro? Anche con questi presupposti pare difficile, ma speriamo tutti che chi decide di farlo, non stia a rimembrare troppo su questi aspetti. Lo faccia soprattutto con cuore, lo stesso che ha spinto Patrizia Testa a sobbarcarsi un impegno, come quello di gestire i tigrotti. Per diverso tempo. La serie C2 non è un insulto al nostro blasone, non è una riduzione ai minimi storici. La pochezza sarebbe passare dai play off per la B alla tristissima serie D e tornare a giocare in campi dimenticati da Dio, dove la sala stampa è la stessa usata per cucinare le salamelle. Speriamo di non finire in posti dove neppure il navigatore “si rifiuta” di portarci. Per questo speriamo ogni giorno in quell’acquisto sicuro che ci dia la stessa serenità di questi anni, che nel bene o nel male ci hanno dato lustro e gloria anche se solo in serie C.

Simone Merlotti.

 

 

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