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Sembrava ieri, le 14,30 lo stesso orario di sempre, la domenica lo stesso giorno di sempre, lo “Speroni” lo stesso stadio di sempre.

Tutto uguale, tranne un posteggio in meno e i botteghini chiusi.

La maglia era quella di prima, dopo che sono fortunatamente abortiti i recenti tentativi di creatività innovativa.

Ritrovata la normalità si è ritrovata la passione di una tifoseria conservatrice fino all’osso che poco gradisce tutto quello che l’allontana dalla sua area di comfort, dalla tradizione, dalle abitudini che si tramandano di padre in figlio.

Una di quelle è di trovare il Tigrottino all’ingresso, ieri non c’era e l’Ottavio Tognola, uno che di storia e tradizione ne ha da vendere, è rimasto deluso e sconcertato.

In tribuna c’era Capitan Zaffaroni e anche lui ha contributo a far vivere ieri quello che si è sempre vissuto fino all’altro ieri, prima che il calcio venisse consegnato ai markettari da strapazzo che vorrebbero conquistare il futuro senza accorgersi che stanno perdendo il passato.

Un pomeriggio d’altri tempi anche in campo, l’unica novità i molti giovani in campo, prima ce n’era uno della “Beretti”, solo per far numero, per fargli fare la doccia insieme ai grandi. Oggi, sono piccole cassaforti viaggianti per le società che li valorizzano.

Se la Juve dice Dragusin, Fagioli, De Winter e Soulè, la Pro Patria risponde con Gatti, Caprile, Pierozzi, fino a ieri e con Ndreka e Perotti da oggi in poi. Un orgoglio anche questo che fa rima con Turotti, uno che è sempre di moda.

Serviva una scossa ed è arrivato un fulmine a ciel sereno, proprio come il cielo di ieri che sembrava quello di sempre che si poteva guardare alzando gli occhi dai popolari scoperti, che erano pieni quando si prendeva l’acqua e ci si sedeva sui gradoni con sotto al sedere il Tigrottino o la Prealpina e che si sono svuotati da quando non si prende più l’acqua seduti sulle poltroncine numerate, ma la si prende prima e dopo perché gli stewards ( nonno stai tranquillo, tu non sai chi sono, ma fa niente), hanno deciso che non si possono usare allo stadio, neppure se spuntati.

Tigrottino di un tempo del quale non c’è più nessuno, Il Pistocchini è ormai uomo del sud con la sua nuova vita e la sua nuova residenza e della Prealpina è rimasto il buon Silvio Peron a tenere aperto il ponte con il passato. L’altro era il “Tia Brazzelli Lualdi”, presente ma con una nuova casacca che più che le alpi ricorda un aeroporto.

Dicevamo della scossa, quella che nel passato ognuno aveva avvertito in una delle tante partite pazze : Pro Patria Genoa 4-3 del 2006? Pro Patria Pisa 3-3? Altre? Chi se le ricorda?

Non è semplice oggi perché non è come prima. Persino Google o You Tube faticano a ricordare quello che non hanno vissuto. Comoda la vita per i giovani reporter di oggi, un click e saltano fuori immagini, tabellini, cronache e interviste post partite. A noi, di quel tempo, rimangono i Tigrottini del Pistocchini, oppure il libro del Giacomelli, il resto a memoria.

E, allora la scossa per chi scrive è stato quel Pro Patria Imperia ribaltato a poco dal termine dalla punizione di Maruzzo. Il cielo era blu sopra la nuvole, gli spalti erano umidi ma il cuscinetto del Pro Patria Club garantiva il comfort “Premium”. C’erano la radioline per sentire i risultati della serie A, per tutti gli altri il Televideo al ritorno dallo stadio. C’era 90 esimo minuto e basta. In tasca un biglietto che sembrava quello del cinema, non il lenzuolo che danno oggi solo in prevendita e con un extra costo per il disturbo, che è del tifoso, ma lo pretende il bigliettaio, anche quando è virtuale.

Il “tutti bravi sul divano”, o il salotto di Caressa, lo si faceva nello spiazzo fuori dagli spogliatoi fin dopo il tramonto, quando si aspettavano i giornalisti che uscivano dagli spogliatoi per sentire le ultime. Il Fusetti prima, Il Peron dopo, il Toia dopo ancora, ma anche il Brazzelli, il Romussi, il Restelli, il Tognola e altri che il velo del tempo calato sulla memoria ne offusca il ricordo.

C’era il Nando Pellegatta che le sapeva tutte, ricordo il “Viola”, il Gino Gallazzi, mio zio Valerio Bollini, lo Stebini, Il Gambertoglio, il nostro Gallazzino, l’Eugenio Crespi, il Giacomelli, il Gombini, il Lualdi, il Bocciarelli, il Lattuada, il Bacchi, il Cocco, il Piccinini e tanti altri che hanno scritto la storia della tifoseria bustocca.

Ieri è stato come prima, in campo e sugli spalti. La Pro Patria ha demodernizzato il presente per modernizzarlo al passato. Ha affondato le radici nel passato distillandone i principi del tempo coniugandoli al presente. Quel boato dopo il goal di Nicco, uno che sarebbe stato perfetto nel passato per quello che è , per quello che fa e per come lo fa, è stato come se il passato avesse alzato la voce per farsi sentire. Forse per reclamare quell’importanza che qualcuno tenta di diluire fino a farla sfumare con l’ossessiva ricerca della novità e dell’effetto “wow” che spesso fa rima con flop. Voglia di nuovo che qualcuno addirittura inserisce nel nome della squadra pur di convincere e convincersi che il futuro ha senso solo se fa rima con “Next Generation”.

Illusioni allo stato puro, forse solo mancanza di paragone con un calcio che per queste dimensioni e per queste latitudini può solo vivere con i sapori forti della passione, della fidelizzazione coltivata con la vicinanza ai tifosi e alle loro esigenze che comprendono la possibilità di entrare allo stadio sempre e comunque, aiutandoli sempre e combattendoli mai.

Ieri i Tigrotti si sono regalati la T maiuscola, come quella che solo pochi hanno saputo meritarsi. Quelli delle grandi imprese, dove per grandi imprese si intendono quelle che prevedono il cuore, il coraggio, la determinazione, il sudore della maglia, l’abnegazione, lo spirito tigrotto, il sangue negli occhi e artigli come unghie.

Chi c’era nel passato e c’era ieri ha gustato in diretta antiche sensazioni, quelle del calcio dei “popolari”.

Quell’onda sonora che ieri è partita dallo “Speroni” è la stessa di quella che arrivava alla Manifattura Cisalpina e che rendeva orgoglioso il portinaio di quell’azienda. Che fosse mio nonno Giannino Bollini importa poco a tutti, ma mi riempie d’emozione poterlo citare. Permettetemi il regalo della citazione anche vista la recente festa dei nonni.

I volti dei tifosi a fine gara erano i ritratti di tutti gli altri, quelli che c'erano e non ci sono più, quelli che c'erano prima e ci sono ancora e quelli che hanno rinunciato per sempre, ognuno per un suo motivo, che spesso è per tutti lo stesso.

Volti felici non per la vittoria, ma per l'impresa. Per l'orgoglio di vedere in campo ragazzi che hanno inteso il valore di quella maglia e di fronte alla inferiorità numerica e alla tirannia del tempo che stava sfumando, hanno ingaggiato un duello perso con la certezza di poterlo vincere.

Un ragazzo col nome difficile, che nessuno dei vecchi tifosi avrebbe mai ricordato, al primo anno in biancoblu, con una carta di identità che nemmeno parla italiano, ha vestito la nostra maglia e magicamente è diventato immediatamente un bustocco e un tigrotto. Si è involato sulla fascia e sembrava il "Tramezza", volando verso l'infinito, l'ignoto, con il coraggio di chi è vincente prima nell'animo e poi nel suo destino.

Un treno che aveva coincidenza con la vittoria che sembrava fosse già partita per Vercelli e che invece si era innamorata di questi Tigrotti, fino ad abbracciarli a uno a uno.

Il solito fascino di sempre del biancoblu, della maglia, dello stadio, dei tifosi.

Oggi...sembrava ieri!

Flavio Vergani 

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