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Giorgio Giacomelli

Prima di Natale si era inserito volontariamente nella lista degli indisponibili. Non perché chissà cosa avesse, ma solo perché per un tigrotto temprato e di acciaio inox come lui, è contemplata solo la perfezione, tutto il resto, anche se passeggero, diventa un fastidio da combattere con forza.

La sua assenza dalla sua mattonella della tribuna laterale, peccato questo aggettivo che sminuisce, gente come lui dovrebbe avere la tribuna centrale “ad honorem”, è stata notata, ma spesso sorge spontanea la giustificazione dei tempi moderni, ossia che "vedrà la partita in televisione".

Nel passato, ad ogni assenza seguiva una telefonata indagatoria, oggi ci si convince che chi manca è perché è davanti alla televisione. Così, nell’era dei cellulari sempre e comunque, viene meno la funzione principale, ossia quella di telefonare col telefono.

Poi, improvvisamente, il guerriero di tante battaglie, la biblioteca vivente della Pro Patria, la voce narrante della storia tigrotta, l’uomo che vive nella casa-museo, dove i ricordi non possono riposare, perché lui li risveglia ogni giorno per presentarli a chi non ha avuto la fortuna di viverli, appare improvvisamente.

L’anno, il posto e l’ora rendono l’incontro sorprendente, perché lì non te l’aspettavi, ma l'appuntamento con l’immensità viaggia da sempre tra la casualità e il destino.

Il suo carisma lo precede, il suo occhio è sveglio come al solito, la sua anima ondeggia tra un passato indimenticabile e un presente che non è più lo stesso di prima e l’impressione è che lo deluda profondamente.

Troppi personaggi in cerca di autore dicono i suoi occhi, quello che la sua bocca tace.

Il suo dribbling è secco e lascia senza parole, inutile indugiare, chiedere o cercare di sapere di più.

Rilascia identitik di chi non è come vorrebbe, ma il dubbio rimane in filigrana. Inutile tentare di sapere di più. Lui ama la gente sveglia e se insisti rischi di deluderlo.

Serve il tempismo di un marcatore centrale, quelli che una volta si chiamava stopper per non farlo andare via.

Come un lampo scappa via dal presente per tuffarsi in un passato che lo culla come un bambino, lo accarezza e lo coccola, certo che da lui riceverà sempre onore e rispetto.

Un viaggio che richiede l’allacciamento delle cinture di sicurezza, perché ti porta in un attimo dagli anni quaranta agli anni cinquanta, dagli anni sessanta agli anni settanta. E’ tempo di volare, è là che io voglio andare e lui è là che ti porterà.

Nomi, episodi, citazioni che esplorano il tramonto dei tempi e mettono in chiaroscuro un presente fin troppo scontato per chi ha una storia da raccontare.

E il Brasca? E il Luigi Marra? E Giannino Bollini? E il Valerio Bollini? Perché non si parla più di loro?

Il Professore interroga e si interroga, preoccupato di non far cadere nell’oblio i protagonisti di un passato che ha scritto importanti capitoli della storia biancoblu.

Ora, il riscaldamento è terminato e il suo eloquio è da finale mondiale.

Il dubbio che si fosse messo nella lista degli indisponibili solo per precauzione adesso è certezza.

Rivedo la solita mente sveglia, i soliti ricordi ferrei ricche di date, episodi, citazioni, secchiate di cultura dispensate con grande scioltezza.

Forse, per guarire, è bastato cercare il profumo dell’anima del suo amato Andrea qui alla Iper di Solbiate Olona, dove il figlio stava per uguagliare il padre. Giorgio è il numero uno, Andrea il numero tre, ma sarebbe stata solo una questione di tempo. E’ volato in cielo ormai da cinque anni, ma tra quelle corsie è rimasto tutto di lui. La luce del suo sorriso, la brillantezza dei suoi occhi, la passione per il suo lavoro e l’impronta della sua umanità.

Orgoglio di un papà colpito e ferito dal destino della vita, ma non affondato, che con la forza e l’orgoglio propri degli uomini di una volta, ha saputo guardare avanti e ricordare chi non c’è più perpetuandone la presenza con l’esempio.

Ora, c’è Giulia, la nipote, 110 e lode in strategie di comunicazione. Insomma, anche le mele buone non cadono lontano dall’albero.

Un albero che con le radici abbraccia la storia, con gli occhi guarda in cielo per cercare gli occhi del suo Andrea e con il cuore accompagna la sua Giulia nei sentieri della vita. Gli stessi sentieri che lui ha già percorso e i cui nomi e date ha scritto nel libro della sua vita.

E’ tardi, il carrello è ancora vuoto e la lista della spesa lunga.

E’ tempo di convocarlo per la prossima in casa, la piastrella è da tempo troppo sola e troppo fredda, persino troppo delusa.

Il guerriero non fa promesse, si allontana verso un’altra corsia, dove forse ha visto il suo Andrea, o forse ne ha sentito la voce in chi lo riconosce e lo saluta.

Un patrimonio dell’umanità che Busto ha l’orgoglio di avere e che forse meriterebbe qualcosa di più.

I libri raccontano la storia, gli audiolibri la citano, lui l’ha vissuta da protagonista e potrebbe condividerla con i ragazzi ancora incerti se innamorarsi della Pro Patria.

Con lui, prenderebbero una cotta!

Dove eri finito? Chiede qualcuno.

La risposta viene spontanea, anche se lascia interdetto l’interlocutore: “Mi sono fermato un attimo a parlare con la storia che passava di qui”.

La replica è ancora più spiazzante della risposta: “Chi era? Giorgio Giacomelli?

Beh… sì, chi sennò?

Flavio Vergani

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