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E’ un giorno come un altro di un inverno in ritardo. Sere grigie e fredde dove si riempie lo spazio tra una partita e l’altra con riflessioni che vorrebbero ristorare la mente. Poi, però, c’è  il cuore che non mente, ferito da tanti piccoli infarti conseguenti a delusioni perenni, che dissolvono il sogno avvicinandolo all’incubo.

Dall’altra parte della chat un tifoso a tutto tondo. Uno dei pochissimi rimasti, non come quelli che pensano di esserlo solo presentando un curriculum dei tempi che furono, quando tutto era diverso. Un tifoso tutti fatti, si anche parole, ma conseguenti ai fatti che vogliono dire chilometri percorsi, soldi spesi, weekend sacrificati, orecchie tappate per quella domanda idiota di per sé, ma che lo diventa ancora di più se arriva da uno che pensa di essere come te e invece non lo è: chi te lo fa fare?

Come se si comandasse al cuore, come se una passione forte potesse essere dosata. Certo lo si può fare, ma non sarebbe più forte, così vera, così totalizzante, persino così spiazzante.

Il tema del dibattito stenta a creare il dibattito, perché le opinioni sono sempre identiche, condivise, incontrovertibili. Qui nasce il problema, nasce una verità che non è un’opinione lasciando poche speranze. Una discesa verso l'oblio neppure difendibile a parole, con opinioni contrastanti che darebbero una speranza, se solo un dei due avesse ragione. Invece, sembra che entrambi abbiano ragione e questo porta verso una sentenza inappellabile.

E’ un triste funerale di un sogno cullato, nutrito, alimentato. Una ragione di vita che traballa sotto i colpi sempre più evidenti di un disinteresse generale che sta spegnendo un simbolo che qualcuno chiama ancora "della città".

Il tifoso è un esempio di sintesi quando dice che la verità fa male e lui sente molto male, tanto da non dormire di notte al sol pensiero.

Si parla di quanto interessi o meno la Pro Patria ai suoi tifosi, alla città, ai giornalisti, ai club, persino alla dirigenza.

Tema delicato, una provocazione forte alla sensibilità del mondo biancoblu non famoso per la capacità di autocritica, di lettura della propria realtà, prima di quella degli altri.

Questa sera però è la giusta sera per dirlo, non quella dei miracoli, perchè sembra che la fabbrica sia ormai chiusa.

Le parole di Mister Vargas sono state la goccia che hanno riempito un vaso già straripante. Noi ci crediamo alla promozione, la città no, questa la sintesi dell'allenatore che, stanco di sentirsi ripetere la domanda, ha ritenuto opportuno chiarire che prima di chiedere, bisognerebbe chiederselo.

 Brutto sentirsi dire quello che tutti da tempo sanno, ma nessuno osa dire. Meglio simulare una gioia immensa per la nostra Pro Patria simbolo di Busto. La nostra Pro Patria quando serve, che diventa la vostra Pro Patria quando non serve. Vostre trasferte, vostri costi di gestione, vostri problemi se non avete un campo di allenamento, vostra se non funzionano gli altoparlanti da anni e qualcuno deve ancora soffiarci dentro per togliere la polvere e sperare che ripartano.

La seconda domanda ha incorporata la risposta: è ancora possibile considerare la Pro Patria simbolo di Busto?

Il tifoso ha le idee chiare e come dargli torto? Smettiamola con questa cazzata.

La Pro Patria vive, o forse vegeta, tra l’indifferenza totale e anche chi fino a ieri era disponibile a fare tutto e di più per il biancoblu, ha smesso di farlo. Ha smesso di ritenerlo fondamentale e meritevole di sacrifici importanti.

Prima in trasferta andavano tutti, adesso sempre quelli, prima lo stadio contava minimo il doppio delle persone oggi presenti, nonostante l’alta classifica, prima c’era vita, oggi solo speranza.

Tutto dà fastidio, tutto giustifica: i prezzi alti, gli orari delle partite, il giorno delle gare, i botteghini semiaperti, i posteggi semipieni, il costo della benzina, il costo dei caselli, il calcio che cambia.

Finalmente un verbo corretto, ossia cambiare. Tutto è cambiato e anche i tifosi sono cambiati, pochissimi sono rimasti gli stessi. Come pretendere che non sia cambiata l’essenza della Pro Patria, la sua importanza, la sua identità percepita? Manca il coraggio di dirselo in faccia. Il tifoso in chat ha questo coraggio lo ha e dice chiaro e tondo: "è tutto finito".

Forse da quel giorno del 2009 quando sarebbero bastati 400 mila euro per volare in serie B. Quale città rinuncia alla serie B per 400 mila euro? Il beep di Whatsup è immediato, anche qui il tifoso in chat non ha dubbi: "Busto".

Nonostante gli esempi, nonostante ci sia qualcuno che ci crede fortemente, dando prova che si può fare, niente trascina, niente coinvolge, niente entusiasma.

Il coordinamento ha provato a unire gli intenti per essere più forti insieme, qualcuno ci mette soldi, tempo e salute per far partire sempre e comunque uno, due, tre pullmini per le trasferte, qualcuno si sbatte nelle scuole, crea fumetti, bavaglini brandizzati, raccolte di figurine, premiazioni mensili per stare insieme, pranzi celebrativi  e persino il merchandising sul territorio, che sembrava la soluzione del teorema di Pitagora, ma la spinta, la ola, il coinvolgimento totale non è mai partito.

Manca sempre qualcosa e quando quel qualcosa arriva manca qualcos’altro.

La colpa? Di tutti e di nessuno. Il risultato finale è la somma degli addendi. Come diceva il tifoso, a Verona non c’era un giornalista, solo uno all’ultima conferenza stampa. Poi, però tutti parlano e scrivono di Pro Patria (anche noi eh…sia chiaro). Alle premiazioni del Tigrotto del mese sempre i soliti che sono più o meno quelli delle trasferte ( anche noi eh…sia chiaro).  Assenza eccellenti, troppo eccellenti, persino alla cena del compleanno della Pro Patria. Allo stadio più o meno sempre quelli, pochi, troppo pochi e tra loro persino qualche "poveraccio".

Tutto questo è utile per la sentenza finale che certifica il cambiamento. La Pro Patria non è più il simbolo di Busto, visto il disinteresse, la timidezza nel sostenerla con i fatti. Rimangono le parole, quello dei politici che si appuntano sulla giacca il distintivo quando mettono il vestito della festa, lo tolgono quando si parla di campi in sintetico. Rimangono le rappresentanze quando di parla di Città europea dello Sport, qui è d’obbligo parlare di Pro Patria, lucidare la storia, senza preoccuparsi troppo del presente e niente del futuro. Molti hanno scritto libri su questa storia illustre, più di qualcuno nemmeno frequenta più lo “Speroni”. Eppure, molti erano persino nella top 100 dei tifosi più tifosi, tanto da meritarsi la citazione.

Inutile puntare il dito sugli altri, solo su sé stessi per trovare il coraggio di affermare, una volta per tutte, che l’interesse di oggi è questo. Diverso da quello di prima, non prioritario, non totalizzante, non coinvolgente come nel passato. Togliersi la maschera, invece di mettersela, quando di recitano partiture alle quali per primi non ci si crede.

Oggi, la Pro Patria è simbolo solo ed esclusivamente di quelli che con i fatti lo dimostrano. Chi paga, chi la segue sacrificandosi, chi si sbatte per iniziative che richiedono molti soldi, molto tempo e molto coraggio, come quelle di Emanuele Gambertoglio e ovviamente per chi paga per tenere in vita la società.

Per questi è possibile parlare di simbolo, per gli altri rimane una squadra di calcio, nulla di più e niente di meno, un’alternativa allo shopping, al tennis o al cinema. Una passione soft e non hard, un'alternativa e non un obbligo, ma senza dubbio nessun simbolo di niente e di nessuno.

Per quelli invece che da decenni promettono un campo in sintetico e la riparazione degli altoparlanti, decidete voi cosa rappresenta la Pro Patria. Un simbolo? Di cosa? Dell’indifferenza?

Augurata la buona notte, la chat si chiude, termina lo sfogo reciproco, ci si sente per un attimo rassegnati ad un futuro segnato.

Poi, basta il tempo di una notte, per tornare ad essere quelli di prima e tornare a fare quello che si è sempre fatto.

Pianificare una trasmissione televisiva, prenotare il mezzo per le trasferte, scrivere il Tigrottino. 

"Questa è la mia vita...."direbbe Ligabue, "Eh già... siamo ancora qua", direbbe Vasco Rossi, mentre il tifoso rinfrancato dalla forza della sua passione forte decide di togliere dalla custodia un cd, vecchio come lui, cantato dai Pooh e si gode il ritornello: "Se il mondo ( biancoblu)assomiglia a me, non siamo in pericolo, c'è ancora benzina da bruciare per sognare"

Continuiamo a sognare fino a che nessuno ci sveglierà, prigionieri di una certezza che mai riuscirà a convincerci del contrario, anche se il contrario è la vera certezza della nostra convinzione.

  

Flavio Vergani.

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