I principi semplici di un gioco semplice sacrificati alla tecnologia. Ora il grande fratello
guarda nel buco della serratura per pescare un tacchetto malandrino. Ma i principi del
calcio ante litteram resistono. Pensate a questa Pro Patria, alla costruzione della squadra. E
pensate alle sue difficoltà che nascono probabilmente dal mercato. Tornando al calcio che
fu, una delle regole elementari era questa: un portiere che para e un attaccante che segna
sono le fondamenta su cui solidificare i propri obiettivi. Messa così sembra che, al
momento, uno non para e l’altro non segna ma è solo un ragionamento sul quale dibattere.
La Pro di oggi tenta faticosamente di risalire la corrente, nuotando, in certi casi, anche
contro se stessa. Perchè tante volte crea e purtroppo non conserva o fatica a conservare.
Correggere i difetti dipende da tutti, dalla squadra, dall’allenatore e dalla società. Cosa
centrano i dirigenti? Centrano anche indirettamente. Si dirà, a ragione, che la signora
Patrizia non ha mai messo becco nelle questioni tecniche delegando in toto la questione al
suo fido direttore Sandro Turotti. Egli, tanto per gradire, ha spedito tre giocatori in serie A,
di cui uno in Nazionale e gli altri due nella Under 21. Ma proprietario può incidere sul
rendimento della truppa con una carezza, una parola, una cascata di entusiasmo che al
momento non sembra più quello di una volta. Otto anni sono lunghi, pesanti anche
economicamente, vissuti senza che il suo legittimo grido di dolore fosse ascoltato. Perciò
giustamente si fanno le nozze con i fichi secchi ma sarebbero opportune le nozze di Cana
con un panino che diventa un bilico di michette e una bottiglia di gazzosa che diventa una
cantina di Barbaresco. I miracoli sono tali perché non si ripetano e quindi tocca alla
squadra e all’allenatore dimostrare di non essere scarsi. Anche perché sfogliando il libro di
questo scorcio di stagione, la Pro Patria – e quindi anche il tecnico – vale molto più della
sua classifica. Sacchi diceva che il successo è figlio di due virtù: la pazienza e un’altra
cosa (colorita) che fa rima con fortuna. Fortuna che deve aiutare pure i tifosi. Il calcio ante
litteram a noi caro metteva al centro del progetto, oltre a una squadra competitiva, proprio
loro. Oggi sono il convitato di pietra. Ci piacerebbe sapere chi, nelle sale damascate di
Firenze, sceglie gli orari delle partite e i giorni in cui si gioca. Che senso ha, per esempio,
un Legnago-Pro Patria alle 20.45 al confine del Polesine mentre alla stessa ora è
programmata la diretta Tv? Che senso ha costringere la gente a trasferte invereconde con
viaggi notturni? La risposta sarebbe scontata: perché, questo calcio ha senso? Torniamo a
bomba ai principi spazzati via dalla tecnologia che, a detta di molti, ha svilito il valore
degli arbitri, una categoria con cui i tigrotti sono in larghissimo credito. Tecnologia che ha
generato una concorrenza sleale sostenuta dai presidenti dei club, i quali preferiscono i
soldi della Tv ma si lamentano degli spalti vuoti. Quelli dello “Speroni” sono una fitta al
cuore. Innamorarsi della Pro Patria significa (purtroppo significava proprio per la
desolazione dello stadio) innamorarsi della sua gente. Il mito del popolo bustocco è bagnato
con piogge torrenziali, scaldato dal sole, frustato dal vento. Un popolo che ha bisogno di
nuove sfide, di obiettivi e finalmente di una scossa guardando in alto e non in basso. Ossia,
per una volta, pensare a vincere e non a salvarsi. Sarà per un’altra volta. Ora serve
pragmatismo e soprattutto realismo. Salvarsi si deve, conservare la categoria è
fondamentale perché retrocedere significherebbe finire nelle sabbie mobili dei dilettanti da
cui si rischia di soffocare a poco a poco.
Silvio Peron
(giornalista de “La Prealpina)