E mò che famo?

L’analisi di Mister Sala nel dopo partita di Pro Patria Caldiero è stata davvero preoccupante per il futuro dei tigrotti. Per l’ennesima volta, l’allenatore biancoblu si è soffermato poco sull’aspetto tattico della gara, ma su quello caratteriale o meglio su quello psicologico, vero tarlo che sembra essere entrato nella testa della squadra.

Serve uno psicologo o il quinto allenatore?

L’allenatore ha fatto presente che la squadra soffre di “ansie” e “paure” che ne bloccano la performance. Giustificate? No, è lo stesso allenatore che fa presente, con il solito realismo e buonsenso che lo contraddistinguono, che chi vuole giocare a calcio non può avere paura della sua ombra. La conseguenza di quanto detto dell’allenatore viene da sé: questi giocatori non stanno giocando a calcio e non lo possono fare con questo problema che li frena.

Il successivo riferimento di Mister Sala diventa quasi patetico e fa sorridere, ha infatti aggiunto: “se giocassero a San Siro cosa dovrebbero fare”? Un rischio che pare proprio non corrano i tigrotti, a San Siro potrebbero andare per un aperitivo, o all’ippodromo per una corsa di cavalli, oppure allo stadio, ma sulle tribune, ma il concetto è chiaro trasmesso dall’allenatore è chiaro.

Paura de che?

Manca una risposta alla domanda: ma di cosa hanno paura? Giocare in casa, di fronte al pubblico più paziente della storia della Pro Patria, a causa di un credito senza fine maturato dalla dirigenza firmata Patrizia Testa che da anni condiziona le reazioni della tifoseria, di fronte non al Real Madrid, non al Padova e neppure al Vicenza, ma ad una timida neopromossa con un punto in classifica in meno dei tigrotti e con la difesa peggiore del girone sono elementi che bastano per aver paura dell’avversario? Basta questo per produrre una gara inaccettabile sotto il punto di vista dell’atteggiamento, della voglia, della grinta? Questo basta per mandare in confusione la squadra?

Se tanto mi dà tanto… o meglio se poco mi da poco…

La domanda spontanea è la seguente: se spaventa il Caldiero in casa, cosa succederà nel possibile, ma non probabile, playout con la Pro Vercelli? Che quando i tigrotti vedranno il pullman avversario con stampati sette scudetti andranno in dissenteria? Oppure, che al “Piola” di Vercelli, avranno una crisi di panico sapendo che rischiano la retrocessione? Se così fosse, meglio davvero non andarci davvero, perché a quel punto sarebbe strameritata una retrocessione diretta.

Ma è proprio così?

Siamo così sicuri che sia questa la causa di tutti i mali? Gente come Nicco, Alcibiade, Terrani, Palazzi, Beretta hanno paura del Caldiero dopo una carriera spesa su bel altri campi e in ben altre città che la tranquilla Busto Arsizio? Siamo proprio sicuri che sia la testa a produrre, anzi a non produrre, reti, occasioni da goal e una parvenza di gioco?

Forse si, ma sicuramente no

Un amico che da sempre mastica calcio e dotato di un’ottima competenza, commentava a fine partita: “ci sono squadre con bassi valori qualitativi che tramite il gioco e l’organizzazione riescono a sopperire le carenze tecniche, limitando i danni e ottenendo risultati positivi. La Pro Patria non ha un gioco con identità, difende con i singoli e attacca con i singoli e questo è il suo vero limite. I singoli di qualità spesso si spengono presto e la squadra va in difficoltà. Come dargli torto?

L’uovo di Colombo senza sorpresa

I quasi due campionati condotti da Mister Colombo sono la sintesi di quanto sopracitato. Una salvezza regalata dalle scintille di Fietta a inizio dello scorso torneo, poi di Stanzani e Castelli, ma senza mai produrre un progetto tattico, un gioco in grado di valorizzare i giocatori di maggior talento, un impianto solido sul quale costruire un’idea di gioco. Quest’anno, la scintilla non è scoccata perché gli accendini sono stati venduti al miglior offerente e la conseguenza è sotto gli occhi di tutti. Per cui, vero che la colpa è della testa, ma quale “testa”?

Caccia all’untore

Chi si era permesso di far notare che l’allenatore non stava incidendo a livello tattico e ne consigliava l’esonero, è stato tacciato di disfattismo, di incompetenza, di propensione alla polemica gratuita. Nomi che sono andati immediatamente nella solita  bad list, anche se questa volta estesa anche a nomi impronosticabili fino a quel momento.  Adesso si viene a sapere, non dai criticoni, ma dall’attuale allenatore della Pro Patria, che il danno non è stato solo tattico, ma anche psicologico, ossia ben più grave da risolvere. Insomma, si pensava ci fosse un motivo concreto per cambiare guida tecnica, invece ce n’erano due. Aggiornare la bad list con chi questa non decisione l’ha avvallata, sostenuta e difesa.

E mò che famo?

Direbbero i romani, e mò che famo? Beh, a quelle latitudini non ci hanno pensato molto a far fuori due allenatori per trovare la soluzione Ranieri, a Busto si vive ancora di sentimentalismi che producono esoneri con ritardi da Circumvesuviana o debiti di riconoscenza eterni che faticano a rescindere cordoni ombelicali con chi ha scritto importanti capitoli della storia biancoblu. Tutto apprezzabile, ma poi ci si chiede il motivo per il quale poi manchi l’indispensabile per sostenere il progetto. La pazienza dei tifosi è terminata, persino gli ultrà, che finora avevano dato ampio appoggio ai tigrotti, si sono spazientiti. I commenti sui sociali ricalcano quanto detto da Giovanni Pellegatta, Presidente del Pro Patria Club, ossia che la maglia è stata disonorata da una prestazione inaccettabile. Le voci si sono alzate di tono e diventate numerose, persiste ancora qualche colpevole silenzio da parte di chi baratta una contestazione e una probabile retrocessione con la solita sottomissione.

Serve un allenatore col patentino o uno psicologo con la laurea?

Mister Sala ha solo il foglio rosa e può guidare la squadra solo accompagnato da chi ha la patente. Per cui, a breve, arriverà il patentato che si dovrebbe chiamare Max Caniato. La domanda non è uno scherzo e nemmeno una provocazione, bensì un esercizio di realismo. Se davvero i problemi della Pro Patria sono di natura psicologica, perché non pensare ad uno psicologo? Ok, lo sappiamo nello sport si chiama mental coach, ma la sostanza non cambia. L’anonima minoranza, ossia chi dovrebbe prendere le redini della società non si quando,  non si sa come e  neppure perchè,  potrebbe fare uno sforzo e arruolare questa figura? Visto che è andata buca con i regali di Natale ( Coccolo, Rocco e  Barlocco), potrebbe andare meglio a Pasqua con uno in grado di sbloccare la testa dei tigrotti nelle cui ragnatele si sono annidiate paure incomprensibili. A Natale si è mangiato un panettone amaro per Colombo, a Pasqua, anche se non c’è più la “Colomba”, si spera in uovo di Pasqua con una bella sorpresa. La Quaresima è da due campionati che i tifosi la osservano, per cui, ne farebbero volentieri a meno. Va bene il digiuno, ma qui di rischia di morire di fame.

Flavio Vergani

 

 

 

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