La Pro Patria non interessa a nessuno, questa la sintesi che spegne le speranze e le ambizioni della maggior parte dei tifosi relativamente al futuro prossimo. Un pensiero dettato dalla realtà che vede in sella da 9 anni la Presidente Patrizia Testa, con una breve parentesi napoletana che è stato meglio perdere che trovare.
Una parentesi che ha ulteriormente reso pessimisti i tifosi che si sono via via sempre più convinti che meglio la solita minestra che saltare la finestra.
In realtà, la sintesi è un po’ troppo sbrigativa e confonde l’interesse con l’intenzione.
Quando eravamo giovani la “ conditio sine qua non” richiesta da chi si approcciava alla Pro Patria per tentare di acquisirla era una e unica: i conti a posto. La mancanza di debiti pregressi era un assist quasi sempre decisivo per l’acquisizione. Erano i tempi nei quali l’orgoglio di gestire la squadra della propria città era lo stimolo principale per mettersi in gioco. Erano i tempi dei Mancini e dei Colombo, gente del territorio che ambivano a una visibilità sociale e commerciale circoscritta al territorio dove vivevano. La società sana li muoveva senza altre tipologie di interessi. Niente di meno e niente di più di quello che da anni muove Patrizia Testa, forse qualcosa meno, visto che l’aspetto di business personale per l’attuale Presidente non è neppure presente tra i suoi obiettivi, vista la mancanza di un riferimento specifico ad un’attività di business di famiglia.
In sintesi, la dirigenza attuale è del tutto simile a quella dei tempi che furono, un modello che oggi è più unico che raro, per cui, pensare e sperare che si possa trovare una soluzione identica appare davvero difficile.
L’attuale realtà accomuna tutti gli interessati ad una società di serie C a precise valutazioni relative ai famosi “assets societari”, ossia i beni societari, le liquidità e i crediti vantati dalla company. I conti a posto non bastano più.
Qui, si aprono due scenari: o gli assets li hai e allora l’interesse del candidato aumenta e il prezzo di cessione sale, oppure non li hai e allora l’interesse scende e viene vincolato ad un prezzo di cessione che si immagina solo figurativo, diversamente l’interesse sfuma.
In mezzo c’è una possibilità potenziale molto di moda in questi periodi, ossia la prospettiva di poter costruire questi assets mancanti, da qui la famosa fame di costruire stadi, impianti sportivi, cittadelle dello sport, aree commerciali.
L’interessato alla Pro Patria cosa trova di tutto questo? Assets? Praticamente niente. Il parco giocatori, al netto dei prestiti, non è composto certamente da elementi di prospettiva se non qualche giovane. Il settore giovanile non è certamente un plus così forte da muovere gli indecisi, gli unici impianti presenti a Busto sono quelli odontoiatrici presenti nei pochi tifosi senior rimasti sugli spalti, i tifosi sono sempre meno e non rappresentano un asset finanziario di rilievo, ma solo morale per via del famoso blasone della società comunque inutile in sede di due diligence.
Non parliamo dei dettagli che fanno la differenza, lo stadio è vero che ha un nuovo bar ( asset ininfluente), ma nei distinti nemmeno l’ombra di un ristoro degno di tale nome. Siamo ancora ai tempi del “Gioiggi” che passava con la cesta delle bibite appese al collo.
Vogliamo parlare degli altoparlanti che non funzionano dalla notte dei tempi? Evitiamo di entrare in depressione parlando dei famosi campi in sintetico. Ovviamente, la parola impianto sportivo è una bestemmia in quel di Busto, si era illusa persino la dirigenza Vender che sognavano la Cittadella dello sport, ma anche qui le promesse (fattegli) iniziano per pro ma non finiscono per patria, per cui non fanno mai Pro Patria.
Risultato dell’analisi: la domanda di un potenziale interessato alla Pro Patria relativa agli assets ha e avrà sempre un’unica risposta: nessun asset, o quasi.
Per cui, scartata l’opzione “costruiamo gli assets”, che ricorda i tempi delle promesse mancate alla famiglia Tesoro, non rimangono molte alternative, se non la modalità “ ok il prezzo è giusto”, ossia una cessione liberatoria da parte dell’attuale proprietà non vincolata a particolari richieste di prezzo diverse dal simbolico o comunque proporzionale al valore degli assets che, purtroppo, sono prossimi allo zero.
Certamente un discorso più facile da dire che da fare, visto che chi dice non ha certamente messo i capitali di chi deve fare, ma, se si vuole davvero mettere la parola fine alla continua copertura dei debiti prodotti dal calcio di serie C che, secondo i ben informati, conta centinaia di migliaia di euro per ogni stagione, una soluzione la si deve trovare, anche se probabilmente non la migliore o la desiderata. In pratica, per farla facile, tu mi dai metà di quello che chiedo alla quale sommo il risparmio della stagione che non copro e alla fine porto a casa quello che vorrei e la finiamo lì.
Pensare, come soluzione quarta, un affiancamento dell’attuale proprietà con soci di minoranza appare davvero fuori moda. Nel calcio, da sempre, chi mette i soldi vuole comandare, gli altri si chiamano sponsor che hanno la dimensione degli sponsor e, soprattutto a Busto, non risolvono il problema.
Trovare una persona seria che disponga di capitali e sia disponibile a investire in un progetto a perdere è davvero utopistico, a meno che il progetto presenti una sostenibilità finanziaria a pochi nota sommando il contributo dei giovani con i proventi televisivi, con le valorizzazioni dei prestiti e con le plus valenze delle vendite dei giocatori. Una tesi sposata da altri tifosi che da sempre non credono al progetto in perdita denunciato dai presidenti di serie C o almeno dai più virtuosi. Recentemente un sito di informazione online ha scritto una cifra di riferimento relativa al segreto di stato da sempre protetto dalla Lega di serie C, ossia il valore del contributo che ricevono le società stile Pro Patria che schierano under in tutte le partite. Una cifra che è stata valorizzata in 1 milione di euro ( Albinoleffe). A noi risultava un po’ meno della metà. Non sappiamo quale delle due sia corretta, ma certamente l’analisi di cui sopra diventerebbe carta straccia se davvero fosse corretta la cifra citata da altri. Un milione di euro su un budget di 900 mila farebbe quadrare conti, ma siamo sicuri che sia così? Non addentriamoci in quello che sappiamo, certo è che il fatto che non ci sia la corsa per acquisire le società di serie C qualcosa vorrà pur dire.
Tornando a quello che si diceva all’inizio del pezzo, ossia a non confondere l’interesse con l’intenzione, possiamo aggiungere che qualche interessato che potrebbe cambiare il menù dei tifosi bustocchi facendolo passare dalla solita minestra a qualche raviolo, non solo in brodo ma ben condito, sembra ci sia stato. Non sappiamo se il verbo vada lasciato al passato o se lo si possa considerare ancora “running”, ma rimane i dubbio di sempre: interessato o con l’intenzione? La serietà non manca, i soldi nemmeno, visto il valore del business e la sia ” varesinità” depone a suo favore, ma gli assets?
Flavio Vergani