Il risultato è stato lo stesso, le aspettative erano diverse. Col Vicenza il pronostico preferiva i veneti, col Fiorenzuola un pareggio era atteso, la vittoria ritenuta possibile, la sconfitta improbabile. Invece, due sconfitte, dopo che col Vicenza il pronostico poteva essere sovvertito con un po’ di coraggio.
La gara con il Vicenza lascia un rimpianto, quella col Fiorenzuola solo tanta amarezza per come è maturata la sconfitta. La squadra è apparsa svogliata, assente mentalmente, senza fame agonistica, quasi appagata da un 2024 ricco di vittorie. Purtroppo non basta e il segreto è di accorgersene subito per evitare un finale di campionato da batticuore.
Da capire il motivo per il quale la Pro Patria degli ultimi due campionati offra due livelli di performance così diversi tra loro tra i due gironi, oppure tra cicli di partite non così lontane tra loro. Lo scorso anno il girone di andata fu fantastico, quello di ritorno da dimenticare, quest’anno l’opposto, o quasi. Visto che dopo l’inizio anno memorabile, la squadra ha iniziato ad andare a corrente alternata con la partita di ieri dove la spina sembrava addirittura staccata. Un andamento con pochi picchi e molti flessi che rende difficile dare un preciso valore ai biancoblu.
Questione di testa? Strano che due squadre diverse, con due gruppi di giocatori diversi e due allenatori diversi si comportino allo stesso modo. Veniamo al tema “atteggiamento” che Mister Colombo a più riprese ha sottolineato come elemento fondamentale per vincere le partite, tanto da ritenerlo più importante del cambio di modulo avvenuto nel girone di ritorno.
E’ chiaro al mondo che l’atteggiamento nello sport, nel lavoro di ciascuno di noi, nelle nostre passioni, faccia al differenza. Questo è scontato da sempre, quando non è quello giusto la sconfitta è praticamente certa, ma quando c’è la vittoria non è scontata. Chi non sa questa ovvietà?
Però, se bastasse solo l’atteggiamento giusto per svoltare, allora vorrebbe dire che per 19 partite del girone di andata la Pro Patria non ha avuto il giusto atteggiamento? Sarebbe davvero colpa grave di squadra e dell’allenatore. Invece, il cambio modulo ha indubbiamente favorito una performance più profittevole e i numeri lo dicono in maniera inequivocabile.
Poi, normale che non basti il modulo, la squadra scesa in campo ieri avrebbe perso con qualsiasi modulo, visto che gli avversari avevano più fame, più voglia, più stimoli. Qui, il discorso si lega con quello della domenica prima, quando il Vicenza ha dato dimostrazione di credere di più nella vittoria. Anche qui, all’atteggiamento si è sommato un valore qualitativo di tutto rispetto che sommato alla determinazione ha fatto la differenza.
Il volare basso che da anni è la parola d’ordine per la squadra non aiuta certamente a tenere alti gli stimoli, la salvezza è stata da sempre rubricata come obiettivo quasi paragonabile alla vittoria del campionato, in quanto ottenuta con molti giovani, poco budget, poco pubblico, pochi sponsor e questo ovviamente ha il suo peso relativamente alla generazione di stimoli. Chiunque di noi avverte un senso di appagamento quando raggiunge un obiettivo ritenuto già grande di per sé e tende a cullarsi sul risultato. Diverso è quando la pressione è alta, quando si punta al massimo, quando non ci si accontenta. Ossia, quando l’ambiente pressa e le aspettative non sono vincolate al minimo indispensabile.
La dimensione della Pro Patria è fin troppo chiara da sempre, la salvezza è un’impresa, il primo turno di playoff un di più, per cui l’attivazione degli stimoli extra non è certamente automatica e non crediamo esistano premi speciali fissati per obiettivi più ambiziosi. Da qui, potrebbe essere scattata la molla dell’appagamento, del compito centrato, con un conseguente calo di concentrazione che ha generato le due ultimi delusioni. Seppur diverse tra loro.
Lasciando da parte il discorso relativo alla “testa”, una riflessione va fatta anche sui piedi. L’ambiente degli ultimi anni è abbastanza diverso da quello di qualche decennio fa dove era di moda il pane al pane e il vino al vino. Oggi si preferisce il buonismo a tutti i costi, il meglio dire che non dire, il grazie lo stesso, per non passare per ingrati. Certamente un atto di giusto rispetto e considerazione per chi tiene vivo il calcio a Busto, ma crediamo che anche obiettando con educazione esprimendo un parere contrario si possa lo stesso attribuire meriti a chi merita, ma nello stesso modo vivere la propria passione sportiva con senso critico e libertà di espressione. Una libertà che è il sale del confronto che dovrebbe dare pari valore a qualsiasi opinione, senza squalifiche giustificate chissà da quale competenza superiore o investitura divina.
Sul tema “piedi” ci piace dire che questa squadra, questo modulo, atteggiamento a parte che è sale di tutti i moduli, non accetta trapianti (nemmeno con gli antirigetto) di giocatori alla Bertoni, uno che è nato geometra e non può fare il muratore, mentre diventano indispensabili giocatori un po’ muratori e un po’ architetto, come Nicco, al quale va abbinato un muratore nato come Mallamo.
Che quando mancano loro la squadra soffre è certo, forse anche per un diverso atteggiamento, ma non solo, visto che questo motivo sembra essere la conseguenza e non la causa. Rimane aperta la domanda su Marano, geometra o muratore? Il curriculum parla chiaro, ma sembra proprio che sia il cantiere quello sbagliato. Il ragazzo non si è trovato bene nel 5-3-2, non si trova bene nel 3-4-2-1, non trova identità, posizione e performance e questo ha indubbiamente pesato sul centrocampo bustocco che contava molto su di lui. Non crediamo che a Marano manchi l’atteggiamento, bensì un ruolo che non c’è mai stato, non è mai stato creato, o forse mai è riuscito a comprendere. Inutile insistere per il bene di tutti , suo per primo.
Per cui, sembra facile dedurre che il nuovo modulo ha portato la valorizzazione di Pitou che è diventato perno della squadra a scapito di Bertoni, protagonista da sempre del 5-3-2, ma comparsa in questo nuovo modulo. Serve accettare la realtà e farsene una ragione, senza forzare impieghi alternativi sperando in improbabili miracoli calcistici. Infine, una riflessione sulla girandola di cambi ai quali spesso assistiamo. Ebbene, qui chiamiamo a raccolta gli statistici chiedendo quanti di questi hanno prodotto un vantaggio per i tigrotti. Quanti hanno portato benefici tali da ribaltare la situazione. A sensazione pochi, ma potremmo sbagliarci. Questo per dire ancora una volta che la favola della panchina lunga, dei ventidue titolari non ci ha mai convinti e mai ci convincerà in una squadra costruita con uno tra i budget inferiori della categoria. Per cui, ci sono i titolari che fanno la differenza, soprattutto in questo modulo che si chiamano Pitou, Castelli, Stanzani, Nicco, Mallamo, Renault, Ndreka, Moretti, Saporetti, Rovida e poi ci sono tutti gli altri che sono bravi anche loro e meritano rispetto e considerazione, ma nello sport, nel calcio, nel mondo del lavoro, ci sono da sempre gli organigrammi fatti dalle gerarchie e da nessuna parte il portinaio può fare il Direttore Generale, ma anche il contrario fortunatamente, ma trattasi di questione di ruoli che non sono intercambiabili, anche se entrambi importanti e utili.
Flavio Vergani